Deiana Tzerafinu, “Is contus non torrant. Istoriedha pro is pipius e duas poesias S’anarkiku ideale is mai kuntentus”

Edito da: supplemento a Sardennia contras a s’istadu, n. 7
Luogo di pubblicazione: Guasila
Anno: Aprile 1994
Pagine: 29
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Può avere qualche valore un lavoro come quello che presentiamo, rivolto ai ragazzi sardi, in un’epo­ca come la nostra sempre, più dominata dal linguag­gio universale dei computers? E, ancora, può questo lavoro, scritto secondo una variante della complessa lingua sarda, dare CULTU­RA (in ogni significato della parola) a tutta la gio­ventù sarda? Domande queste che richiedono un’adeguata ri­sposta se vogliamo dare un qualche significato agli scritti che compongono questo libro.
E’ bene però che si tenga a mente l’esistenza in Sardegna di diversi movimenti e partiti indipenden­tisti, ognuno dei quali darebbe naturalmente una propria risposta a tali quesiti. Risposte contraddito­rie fra loro, a significare la distanza, spesse volte abissale, fra le varie proposte di liberazione nazio­nale. Il movimento indipendentista è vario ed ete­rogeneo così come lo è il movimento rivoluzionario. Vi sono libertari, anarchici puri e meno puri, quelli meno puri e quelli completamente imbastar­diti. Vi sono libertari, anarchici puri e meno puri, ed infine rivoluzionari senza etichetta (almeno stan­do a quanto essi stessi affermano). D’altra parte vi sono gli infiltrati in seno ai rivoluzionari, e quelle forze più propriamente politiche-parlamentariste pronte a raccogliere i frutti che gli altri scuotono dall’albero dell’indipendentismo isolano. Noi non vogliamo nè potremo dare tutte le risposte possibili alle domande di cui sopra, pertanto ci limiteremo a dare le nostre. Che altri facciano altrettanto in altra sede.
Le nostre risposte non possono che essere positive per entrambe le domande poste sopra, diversamente non avrebbe senso un lavoro come quello che pre­sentiamo. Siamo convinti che il linguaggio universale dei computers, se pure potrà avere una qualche funzione positiva nella società egualitaria e libera del domani, non potrà mai sostituirsi alla lingua materna usata nei rapporti comunicativi tra individui della medesi­ma nazione e, a livello più ristretto, della medesima comunità regionale oppure della medesima famiglia consanguinea. Se ciò un giorno dovesse avvenire se­gnerebbe la fine dell’uomo libero e la nascita del­ l’uomo robotizzato, assolutamente incapace di crea­tività linguistica perchè vincolato ai limitati contatti elettronici del computers. La lingua materna è inso­stituibile in quanto è la sola che emani calore umano e creatività. Ma la nostra proposta, una favola morale e due poesie in LINEA, vuole non solo combattere quella eventuale prospettiva — oggi del resto assai limitata nello spazio e nel tempo, almeno nella nostra isola — ma si oppone con chiarezza pure alla tragedia del­ l’imposizione di una cultura, e dunque di una lingua, ALTRA che quotidianamente i nostri fanciulli sono costretti a subire. Imposizione che contribuisce ad alimentare la scissione generazionale fra padri madri ( = comunità tradizionale) da una parte e figli/figlie ( = comunità futura) dall’altra, estraniati gli uni agii altri sia per le differenti età che, soprattutto, per cultura e dunque per l’utilizzo di segni linguisti­ci diversi.
Scissione sociale questa che si riflette con estrema violenza nella psicologia degli individui, so­prattutto dei giovani, causando in essi la compresen­za di due antagoniste personalità, una delle quali le­gata al patrimonio culturale della propria nazione ereditato dalla famiglia e dalla comunità, l’altra pro­tesa verso quella cultura acquisita dall’acculturazio­ne forzata nei banchi di scuola, della chiesa e nei marciapiedi dell’emigrazione. La perenne conflittua­lità fra le due personalità finisce per inibire ogni capacità autonoma individuale, contringendo il sin­golo ad una perenne insicurezza. Accade però più spesso che una delle due personalità scavalchi l’altra. In questo caso data l’impossibilità di vivere in ma­niera totale la cultura ALTRA, in quanto quotidia­namente rigettati dall’esclusivismo culturale e dal raz­zismo della nazione dominante, le nostre giovani ge­nerazioni sono costrette ad una inumana scelta: o rin­negare quella parte di se stessi ereditata dal proprio popolo ( estraniandosi in tal caso dalla propria na­zione) ; oppure, con maggiore entusiasmo dei loro padri, accettare acriticamente tutti quei valori tra­mandati dalla comunità originaria, in particolar mo­do i valori più violenti che, proprio in quanto tali, s’oppongono in maniera assoluta alla cultura ALTRA (hanno origine così parte di quei fatti di estrema violenza, non raramente fatti di sangue, che quoti­dianamente riempiono le pagine di cronaca nera dei quotidiani isolani e italiani). Ma a parte quei pochi fatti che si riversano, coscientemente o meno, sullo straniero colonizzatore (estorsioni, rapine ecc.) la stragrande maggioranza dei fatti particolarmente vio­lenti avvengono all’interno e a scapito della stessa comunità nazionale sarda, coadiuvando in tal modo stesso colonizzatore che mira al genocidio del no­stro popolo per scopi militaristici soprattutto.
Ecco perchè è vietato alla nazione sarda utilizzare libera­mente la propria cultura e quindi la propria lingua. Il loro libero utilizzo segnerebbe la fine dei contrasti interni alla comunità causati dalla schizofrenia dei singoli e contribuirebbe, ancor piu che al presente, alla piena presa di coscienza di classe e di liberazione nazionale. Ciò che certamente renderebbe più arduo il genocidio del nostro popolo. Il nostro modo di vedere la questione linguistica ci dà facoltà di rispondere affermativamente pure alla seconda domanda. Per noi la LINGUA di una nazione è L’INSIEME DELLE CONCRETE PAR­LATE LOCALI, insieme che non è qualcosa di di­verso dalla semplice sommatoria delle parti.
In par­ticolare LA LINGUA NAZIONALE E’, per noi, LA SOMMA MATEMATICA DEI SEGNI LIN­GUISTICI REGIONALI, e in questo senso è dun­que un numero, un’idea. Ma non lottiamo per la realizzazione di tale idea, al contrario ci battiamo per la sconfitta ove è stata realizzata con l’imposi­zione.
Miriamo alla conquista del libero utilizzo della dialettalità perchè solo il dialetto è elaborato autono­mamente dalla collettività e pertanto è il solo stru­mento linguistico che può perennemente controllare. Questo però non significa che le diverse comunità costituenti la medesima nazione non studino o non debbano conoscere le varianti della propria lingua. Al contrario lo studio ed il confronto contribuiscono ad arricchire il patrimonio linguistico nazionale. Con la libera circolazione della dialettalità e col suo stu­dio, può darsi che le differenze si assottiglino e che col tempo la spunti una sola variante. E’ questo senz’altro il modo più libertario per accomunare in un unico sistema segnico le diverse realtà regionali. Ecco perchè crediamo di fare e di dare CULTURA a tutti i fanciulli sardi pur presentando un lavoro redatto in una variante regionale del patrimonio linguistico sardo. Pertanto non proponiamo un’ipotesi di strumento linguistico unico, che un simile lavoro non ci inte­ressa, bensì un lavoro che vuole stimolare la creatività di scrittori, come il Deiana Serafino, miranti direttamente ai giovani e giovanissimi sardi, per dare loro quanto ha sempre negato un potere politico ed economico colonizzatore e genocida.
Costantino Cavalieri

Nota dell’Archivio: ///

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